domenica, luglio 09, 2006

Ed infine il 1982, di nuovo campioni del mondo


Quel triplice «Campioni del mondo!» suggella un mese che non fu solo calcio, ma Storia. Perché la vittoria italiana nel mondiale di Spagna segna una parentesi di gioia pura e tersa in un anno, il 1982, horribilis sia da noi che nel resto del pianeta. I milioni di persone in festa nelle piazze di tutta Italia - bagni nelle fontane, cortei spontanei a bloccare il traffico, clacson afoni per il troppo suonare - liberano una felicità repressa sotto la cappa del piombo che da quindici anni segna la vita del Paese.
Anche la Spagna vuole liberarsi da una cappa, quella del franchismo. Il caudillo è morto da 7 anni, ora alla guida della nazione c'è Juan Carlos di Borbone e l'obiettivo è imboccare la strada del progresso e della democrazia. Il torneo è al contempo occasione e vetrina. Le «furie rosse» (cioè la nazionale spagnola), innervate di giocatori provenienti da «squadrette» come Real Madrid e Barcellona, puntano alla vittoria. Ma non andranno oltre il secondo girone, fermandosi alla soglia delle semifinali.

A segnare quel mondiale sono altri nomi. Sotto il profilo del gioco, è una delle edizioni migliori. Basta scorrere alcuni dei nomi di chi va in campo: Maradona (Argentina); Zico, Falçao, Socrates, Junior (Brasile); Rummenigge, Briegel, Müller (Germania Ovest); Platini (Francia); Boniek (Polonia); Prohaska, Schakner (Austria). Non sono nomi fatti a caso. Ciascuno di loro giocherà poi nel campionato italiano, che proprio dall'82, con l'arrivo di molti degli stranieri visti all'opera in Spagna, diventerà il torneo «più bello del mondo».

La grande favorita è il Brasile. Vince tutte le partite del suo girone battendo Urss, Scozia e Nuova Zelanda. Segna 8 gol e se subisce solo due. Gioca danzando samba. Arriva al secondo girone e ha davanti l'Argentina di Maradona, in ripresa dopo la sconfitta nella partita iniziale contro il Belgio, e la pallidissima Italia di Enzo Bearzot.

Il primo girone, per gli azzurri, è da dimenticare: tre pareggi, con Polonia, Perù e Camerun. Per quest'ultimo si avanzano ipotesi di combine. La nazionale è inguardabile. Paolo Rossi, la promessa dei mondiali argentini, è un fantasma. I giornalisti si scatenano, e tra i loro pezzi serpeggia l'idea di un'amicizia molto profonda tra Cabrini e quello che diventerà poi Pablito. I giocatori entrano in silenzio stampa. Giusto per dare la misura della situazione: un giorno, a Vigo (sede delle prime tre partite), Marco Tardelli entra in un bar e vi incontra il principe delle penne di sport, Gianni Brera. Il suo commento è: «Che puzza di m...».

Tutto cambia quando l'Italia comincia il secondo girone. Il pronostico la dà per spacciata. Pure, batte 2-1 l'Argentina. Poi, il 5 luglio, affronta al Sarrià di Barcellona il Brasile, comincia la leggenda che tutti sanno. Tripletta di Rossi, Zoff che para sulla linea un colpo di testa all'ultimo minuto. 3-2, Brasile a casa e Italia campione del mondo.
Non è un errore. L'Italia i mondiali li vince quel giorno. Aver battuto i favoriti dà la certezza a tutti che la strada è spianata, che non ci sarà Polonia (semifinale) o Germania Ovest (finale) che tenga. Paolo Rossi si scatena: doppietta contro Boniek e compagni, e primo gol in finale. Sarà capocannoniere del torneo con 6 reti, e alla fine dell'anno si meriterà il Pallone d'Oro.L'11 luglio 1982, battendo 3-1 i tedeschi occidentali siamo campioni del mondo. Il paese scende in piazza. Ogni frammento di quella finale è storia. Tra tutti, l'urlo di Tardelli dopo il suo meraviglioso gol ai tedeschi. A me piace ricordarne due: Pertini che, al terzo gol, si gira verso la tribuna d'onore e dice «non ci prendono più»; Mick Jagger che a Torino, davanti ad 80mila spettatori assiepati al Comunale per il concerto dei Rolling Stones, sale sul palco con la maglietta dell'Italia.

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